domenica 10 aprile 2011

Monterano: la cittadella fantasma, ai bordi del tempo


di Mauro Curcuruto


In quanti sanno che ad appena 30 chilometri da Roma si trova uno dei parchi naturali più suggestivi del Lazio? Stiamo parlando di Monterano, un piccolo paese incantato che affonda la sua storia an
cor prima della nascita della civiltà Etrusca. Un paradiso naturalistico di golette, geyser, acqua sulfurea, ma anche di tanta, tanta, storia. Il borgo ha raggiunto l’apice del suo splendore sotto il dominio della famiglia Altieri, di cui, ancora oggi, si può visitare il meraviglioso Palazzo, all’interno del quale è custodita la Fontana del Leone del Bernini

L'imponente Castello si erige al centro del borgo interamente circondato dal silenzio dei ruderi, che ci trasportano in epoca lontana, dimenticata, di quei vicoli una volta abitati.

Nel 1799 l'antica città di Monterano fu abbandonata a causa della peste e dell’invasione napoleonica. La leggenda vuole che il vicino paese di Tolfa, ormai sottomesso al dominio francese, chiese di sfruttare il mulino di Monterano, per poter rifornire di grano i nuovi conquistatori francesi; Monterano rifiutò di dare aiuto, i francesi, quindi, si incamminarono per saccheggiare la cittadella, che però era già stata abbandonata dai suoi cittadini, che fecero in tempo a scappare verso i paesini limitrofi. Il borgo fu così bruciato dai francesi e colpito ciclicamente dalle peste, divenne un vero e proprio paese fantasma, condannato come posto maledetto, venne abbandonato definitivamente e i suoi ex-cittadini fondarono quella che ancora oggi è la cittadina di Canale Monterano.

A ridare vita a Monterano però ci ha pensato il cinema. Infatti, quanti sanno che Monterano è stato il set del Marchese del Grillo? Il convento di Bonaventura è stato infatti il covo di Don Bastiano. Ma Monterano ha fatto da scenografia anche a Ben Hur, ai sentieri di Ladyhawke, a L’armata Brancaleone, fino al recentissimo film con Riccardo Scamarcio, La freccia nera.

È possibile ripercorre tutti questi sentieri, che costeggiano il letto del fiume Mignone, a cavallo o facendo trekking. La cooperativa sociale Limph@ opera sul territorio, organizzando visite guidate all’interno della città, mentre i numerosi maneggi danno la possibilità di passeggiare a cavallo per avventurarsi in un itenerario ai bordi del tempo.

giovedì 7 aprile 2011

La persona è tutta una serie di riflessi e riflessioni: MAXXI, GLI SPECCHI, GLI STRACCI E GLI OGGETTI DI MICHELANGELO PISTOLETTO


Alessandra Vitullo

È in corso ormai quasi da un mese la mostra Michelangelo Pistoletto: da Uno a Molti 1956-1974, presso il nuovissimo museo di arte contemporanea MAXXI.

Dopo la turbolenta inaugurazione del 3 marzo, durante la quale il sottosegretario alla Cultura, Francesco Giro, fu costretto ad andarsene tra i fischi dei critici e dei visitatori; a fine marzo, l’esposizione già registra migliaia di visite.

Curata da Carlos Busaldo, la mostra raccoglie più di 100 lavori dell’artista contemporaneo italiano, uno tra i padri fondatori dell’Arte Povera.

L’esposizione percorre l’evoluzione artistica di Pistoletto attraverso alcune delle sue opere più suggestive: a cominciare dai Quadri specchianti, lastre di acciaio inox lucidate a specchio, sulle quali viene sovrapposta una serigrafia di riproduzione di un’immagine fotografica a dimensione reale. L’artista vuol raggiungere, in questo modo, il massimo grado di oggettività rappresentativa e, nello stesso tempo, mettere al centro dell’opera d’arte colui che l’ammira. In un rimando di riflessi, infatti, chi osserva l’opera ne è al contempo sia spettatore che attore .

Plexiglass, riprendendo il concetto dei Quadri specchianti, riproduce su tavole, per l’appunto di plexiglass, oggetti comuni: tavolini, dischi, scale, corde. L’effetto ottenuto è la perfetta compenetrazione tra spazio e oggetto che crea un improvviso slittamento tra significante e significato: il tavolo non è definito tale per la sua funzione o i materiali che lo caratterizzano, ma semplicemente per la sua immagine.
Oggetti in meno, il loro intento concettuale e artistico non potrebbe essere spiegato in maniera più efficace, se non citando la definizione datagli dallo stesso artista:

I lavori che faccio non vogliono essere delle costruzioni o fabbricazioni di nuove idee, come non vogliono essere oggetti che mi rappresentino, da imporre o per impormi agli altri, ma sono oggetti attraverso i quali io mi libero di qualcosa – non sono costruzioni ma liberazioni – io non li considero oggetti in più ma oggetti in meno, nel senso che portano con sé un’esperienza percettiva definitivamente esternata.

Stracci, un’opera per tutte: La venere degli stracci: l’intramontabilità di un’epoca, in questo caso quella classica, rappresentata dalla statua di Venere, viene incorniciata e quasi inglobata da una moltitudine variopinta di pezze consumate, che al contrario sono il simbolo della caducità del nostro tempo.

In Luci e riflessi, invece, la vera creatrice dell’opera si rivela essere la luce, la quale in un gioco di riflessi tra superfici crea inaspettati segni artistici.

Presente anche tutta la serie di filmati e foto che immortalano le Azioni e Performance del gruppo Lo Zoo, costituito da artisti di ogni genere, nato dalla battuta di Carlo Colnaghi:

Io mi trovo nello stesso posto del leone in gabbia. La cosiddetta civiltà ha relegato ogni animale nella sua gabbia. I meno pericolosi, più docili e sottomessi li ha messi in grandi recinti comuni: le fabbriche, le case popolari, gli stadi sportivi (…) Gli artisti sono isolati nelle Biennali di Venezia, nei teatri, nei musei e nelle manifestazioni organizzate. (…) Ora noi sappiamo di essere Lo Zoo.

È possibile visitare anche la Cittadellarte, un laboratorio d’arte sperimentale, inaugurato a Biella nel 1998, dove il Maestro sperimenta gli accostamenti tra metropoli, creatività e natura, invitando l’osservatore a rifuggire da ogni tipo omologazione e a ricercare sempre un’alternativa di vita sociale.

La Capitale non poteva scegliere posto migliore del MAXXI per ospitare le opere di uno dei maestri dell’arte contemporanea italiana. Gli ambienti disegnati dall’architetta indiana Zaha Hadid, sembrano, infatti, danzare insieme alle opere del Maestro. Correndo, a volte, il rischio di rubargli la scena.